PROCURARSI IL CIBO IN TEMPO DI CORONAVIRUS - 01 Aprile 2020

Oggi sono andata a fare la spesa, sono partita con molte remore, mi aspettavo scaffali mezzi vuoti e prodotti costosi; ho indossato mascherina e guanti e provvista di autocertificazione sono entrata nel parcheggio del supermercato più vicino a casa. In attesa di entrare c’erano poche persone disciplinate e silenziose, ho aspettato dieci minuti e poi mi hanno fatto entrare. Prima mi hanno offerto una mascherina e poi mi è sembrato di entrare in un altro mondo…prodotti freschi, verdure, latticini, pane, c’era pure la carne, i biscotti e la pasticceria. Niente a che vedere con le foto di ripiani desolatamente vuoti che mi sono arrivate dall’Inghilterra e da altri paesi di solito ricchissimi.

In questi giorni ho pensato a lungo alla vita contadina di una volta e al cibo che veniva economizzato, rielaborato e diviso secondo le necessità. Leggevo molto e una delle mie prime letture fu Pinocchio, non mi piaceva quel burattino testone che non imparava mai dai propri errori e dagli insegnamenti dei grandi.

Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di pane, magari un po’ di pan secco, un crosterello, un osso avanzato al cane, un po’ di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma di qualche cosa da masticare: ma non trovò nulla, il gran nulla, proprio nulla.” (Il libro di Pinocchio cap. 5)

Condividevo la sua paura, mi preoccupavo, correvo a vedere se in casa si potesse trovare quello che Pinocchio cercava, nella credenza c’era del pane abbastanza fresco, avanzi di polenta buona, delle mele verdi, piccole e aspre, sull’albero, le mangiavo anche se non erano mature, mi riempivo la pancia e poi divoravo del pane, poco perché bisognava lasciarne anche per gli altri.

Era un’operazione più di testa che di pancia, non volevo sentirmi come Pinocchio. Potevo così permettermi di snobbare il latte, la pastasciutta con il burro, il formaggio e talvolta anche la carne. Nella vita contadina degli anni cinquanta non mancava il cibo come a Pinocchio, d’estate c’erano frutta e verdura e d’inverno ci salvava il maiale, da dicembre a marzo veniva razionato e mangiato con parsimonia. Io, che avevo visto morire l’animale, mangiavo solo qualche costicina o fettina di salame sotto lo sguardo vigile di Leo il cane, che sperava gli buttassi qualche pezzetto...

Mi sentivo fortunata e sicura, mia madre con sette figli e quattro anziani in casa, si preoccupava che tutti avessimo il cibo soprattutto i più giovani. C’era un proverbio veneto che diceva: “ze mezogirorno, a poenta va torno, i omeni a magna, e femene ea sparagna…” era questo il ruolo delle donne risparmiare per gli altri, in alcune case non si sedevano neanche a tavola e mangiavano tutto quello che veniva avanzato nei piatti dei figli. I miei fratelli più grandi avevano anche aggiunto una postilla che, per quanto irriverente, esprimeva la situazione del tempo: “e i putei…? I putei…varda!”. In realtà non avevamo molto da mangiare, a volte ci mancavano i dolcetti o la frutta esotica ma io mi sentivo tranquilla e senza particolari carenze.

In questo momento mi vengono in mente ricordi spezzati sul cibo, sulla parsimonia e sul peccato grave dello spreco.

Così, anche quando c’è di tutto compro solo il necessario senza sentirmi defraudata, utilizzo creativamente tutte le scorte della dispensa e solo allora torno a fare la spesa, a fare scorte che non deperiscano, da tenere per i tempi di crisi.

È diventata una filosofia per questi tempi, procurarsi il cibo senza isterismi, valutare le reali necessità e i bisogni, condividere con gli altri quello che è in più… progettare il futuro basandosi sul passato e sulle cose buone che tutti abbiamo a disposizione.

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